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venerdì 23 dicembre 2011

Tocqueville. Per una libera repubblica.

Tocqueville, giovane magistrato, ottenne un congedo non retribuito per condurre una ricerca sul sistema carcerario negli Stati Uniti. Nel 1831 si imbarcò con l'amico e collega Beaumont e ritornò in patria l'anno successivo.
In America studiò a fondo la nuova società democratica, le sue istituzioni, la sua cultura, i costumi e le tradizioni che la resero possibile. Registrò dati, impressioni, riflessioni e interviste in alcuni quaderni, poi raccolti nel Viaggio negli Stati UnitiLa Democrazia in America, l'opera più nota del grande intellettuale francese, nasce in larga misura da questa prolungata indagine sul campo, fissata in quegli appunti di grandi valore storico e forza narrativa. Le seguenti considerazioni, tratte dal Quaderno E ( pag. 262 - 1990), illuminano il tema dell'affermazione della libertà repubblicana americana:

"Vi è un' importante ragione che supera ogni altra e che, dopo che tutte sono state soppesate, da sola fa pendere la bilancia: il popolo americano, considerato nel suo complesso, è non soltanto il più illuminato del mondo, ma, cosa che considero molto superiore a tale vantaggio, è il popolo che possiede l'educazione politica-pratica più evoluta".

Per Tocqueville dunque ideali e cultura diffusi non bastano a spiegare il durevole successo della libertà repubblicana. Il cittadino elettore è chiamato a compiere la sua manutenzione, che solo un adeguato addestramento e una sufficiente conoscenza pratica delle sue esigenze e dei suoi meccanismi consentono.
Nelle giurie, nei comitati, nelle associazioni, nelle assemblee municipali ed ancor prima nelle famiglie e nelle comunità religiose i cittadini degli Stati Uniti sperimentavano i problemi concreti della convivenza in una società libera, la loro complessità, le difficoltà, le ineliminabili conseguenze impreviste di ogni condotta. Acquistavano consapevolezza del necessario legame tra responsabilità individuale, autocontrollo e libertà sostenibile.
Gli intellettuali più avveduti sottolineano l'inefficienza delle democrazie dei nostri giorni, l'insostenibilità di apparati costosi e incapaci di risolvere i problemi che ci assillano. Ma nelle grandi democrazie rappresentative i governanti cercano di adeguarsi all'orientamento presunto degli elettori che li giudicheranno. Cittadini attenti soltanto ai propri interessi a breve termine e/o prigionieri dell'utopia hanno così governi inadeguati.
Il dibattito pubblico ritorni sulla questione dell'educazione dei giovani, che devono essere preparati con grande realismo non solo a corrispondere alle esigenze del mercato del lavoro ma anche a fronteggiare i problemi di efficienza che ormai provocano il discredito delle istituzioni democratiche. Il pensiero di Tocqueville appare ancora una volta prezioso.



mercoledì 14 dicembre 2011

Annuario SIPRI 2011. I numeri della guerra e della pace.

E' disponibile in pdf una sintesi del SIPRI Yearbook 2011. L'edizione italiana è a cura di Stefano Ruzza. Lo Stockholm International Peace Research Institute, fondato nel 1966, è "un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche nel settore dei conflitti, degli armamenti, del loro controllo e del disarmo".
Dal documento emerge un quadro in preoccupante evoluzione. In evidenza " tre questioni che hanno segnato la sfera della sicurezza negli ultimi anni: l’intensificarsi dell’influenza di fattori non-statali; l’emergere di potenze globali e regionali; una crescente inefficienza, incertezza e debolezza delle istituzioni".
"La sicurezza del mondo sta diventando più dinamica, complessa e transnazionale per effetto del crescente flusso di informazioni, individui, capitali e beni". Sempre maggiore è l'importanza regionale e globale degli attori non-stato e quasi-stato, mentre l'ampiezza del ruolo delle nuove potenze pone il problema di una loro equilibrata integrazione in istituzioni internazionali come il Consiglio di sicurezza dell'ONU e il G20.
E' significativo che nel decennio 2001-10, 2007 escluso, ogni anno i conflitti per il governo siano stati più numerosi di quelli per il territorio. In tale decennio solo 2 conflitti su 29 sono stati interstatali.
Vengono sottolineati la fragilità del consenso su principi, scopi e metodi delle missioni di pace, la loro sovraestensione e l'indebolimento del sostegno politico.
La crisi economica non ha impedito l'aumento delle spese militari, tranne in Europa. Nel 2010 gli USA hanno raggiunto il 43% del totale. Protagoniste le nuove potenze Cina, India e Brasile con Russia, Sud Africa e Turchia, anche se mai l'incremento è stato maggiore di quello del PIL.
Da segnalare la spesa militare italiana stimata dal SIPRI: 37 miliardi di dollari, di poco inferiore ai 45,2 della Germania. Una somma ragguardevole, ma la cui effettiva portata può essere compresa soltanto precisando la parte destinata al personale. Del resto quando gli investimenti cadono al di sotto di un livello minimo lo strumento militare diventa inservibile ed il denaro speso è sperperato.
Dal 2006 al 2010 i trasferimenti internazionali degli armamenti convenzionali maggiori sono cresciuti del 24% rispetto al periodo 2001 - 2005. Stati Uniti e Russia sono i maggiori esportatori. India in testa tra gli importatori, seguita dalla Cina.
Infine le armi nucleari: più di 20.500, di cui più di 5.000 dispiegate e pronte all'uso. Certamente in possesso di tali armi otto paesi: USA, Russia, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan e Israele.




martedì 6 dicembre 2011

Italia. La democrazia inefficiente.

In una recente conferenza stampa il Presidente del Consiglio Mario Monti ha detto (2:00) che:

"Quando si parla di costi della politica si pensa al costo che i cittadini sopportano per gli apparati amministrativi... Ma non si pensa al vero costo della politica, come purtroppo è stata fatta per decenni in Italia: che chi governa prenda decisioni miranti più all'orizzonte breve delle prossime elezioni che all'orizzonte lungo dell'interesse del paese, dei nostri figli, dei nostri nipoti".

E, ancora, uno dei più lucidi intellettuali italiani, il professor Luca Ricolfi, nel suo La Repubblica delle tasse, con riferimento al referendum su acqua, servizi pubblici locali, nucleare e legittimo impedimento, ha scritto:

"Anzichè cercare di guidare l'opinione pubblica, facendola ragionare, i politici hanno definitivamente deciso di seguirla acriticamente, come un pastore che rincorre il suo gregge di pecore" (pag. 180).
"Ma in fondo non dobbiamo lamentarci troppo. Se i politici seguono il gregge, è perchè il gregge è gregge. Finchè ci lasceremo suggestionare dagli slogan, finchè saremo accecati dalle nostre simpatie e antipatie, la politica non smetterà di usarci" (pag. 182).

Sia pure con qualche tortuosità logica - i politici seguono il gregge e nel contempo lo usano (Ricolfi) - entrambi i due protagonisti del dibattito pubblico mettono il dito su una piaga. La ricerca del consenso elettorale può rendere inefficiente la democrazia.
Ma occorre essere chiari. Già Pericle, nell'Atene democratica del V secolo a. c., affermò che: "Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla". E' la democrazia rappresentativa: non tutti possono governare ma tutti possono giudicare (e quindi mandare a casa) chi ha governato. Comprensibilmente i politici si adeguano cercando di individuare l'orientamento degli elettori e di ottenere il loro consenso.
Allora che fare? Come attenuare gli effetti perversi della democrazia? L'educazione, in particolare dei giovani, appare la via maestra per una democrazia libera ed efficiente. L'idea che si possa separare l'informazione dall'educazione e che si debba evitare di adottare un preciso indirizzo educativo non appartiene realmente al pensiero liberale. Come ha sottolineato uno dei filosofi liberali più influenti del Novecento in una nota intervista televisiva (5:40) "il liberalismo classico ha sempre accordato una grande importanza all'educazione e un'importanza ancor più grande alla responsabilità".
Tutte le "agenzie" in senso lato educative, a partire dalla scuola, dovrebbero convergere sull'obiettivo di formare un cittadino idoneo alle sue funzioni pubbliche, informato dei lineamenti dello stato democratico contemporaneo e dei suoi problemi. La larga diffusione di una cultura democratica e liberale deve essere sempre accompagnata da una semplice ma efficace informazione sui presupposti e le condizioni di una democrazia sostenibile, nell'ambito di una educazione alla responsabilità, all'autocontrollo, all'accettazione della complessità.
E' illusorio perseguire il fine di una genuina cultura liberale di massa, soprattutto in una paese come il nostro, dove l'influenza del marxismo e di una interpretazione illiberale della tradizione cattolica è stata profonda? Forse. Ma deve guidarci la consapevolezza che una società non lontana da questo modello ideale è storicamente esistita. Karl Popper nella sua autobiografia intellettuale, La ricerca non ha fine, ha confessato:
"L'America mi piacque fin dal primo istante, forse perchè prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950 c'era un senso di libertà, di indipendenza personale, che non esisteva in Europa e che, pensavo, era ancor più forte che in Nuova Zelanda, il paese più libero che io conoscessi" (1978, pag. 132).
Si trattava di una libertà responsabile, fondata sulla tradizione e sull'autocontrollo. Una lezione da non dimenticare.




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