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mercoledì 15 agosto 2012

La cattiva proposta politica.


In un editoriale sul Corriere della Sera Sergio Romano ha scritto:

" In tempi di crisi economiche e forte conflittualità politica la zona intermedia si è ristretta e le soluzioni più radicali, di destra o di sinistra, esercitano una maggiore attrazione.

Potremmo consolarci pensando che i vincitori saranno costretti a tenere conto della realtà e ad annacquare i loro programmi. Nessuno oggi, nemmeno il presidente degli Stati Uniti, può fare una politica economica che prescinda da una pluralità di incontrollabili fattori esterni, dal futuro dell’euro a quello del sistema politico cinese. Ma un governo che non mantiene le promesse elettorali avrà l’effetto, soprattutto in questo momento, di esasperare le delusioni degli elettori che a quelle promesse avevano creduto e di alimentare i movimenti dell’anti-politica, oggi presenti in tutti i Paesi occidentali. Abbiamo già una grave crisi dell’economia e corriamo il rischio di avere domani, di questo passo, una crisi peggiore: quella della democrazia".

Romano qui pone in evidenza un tema importante. La proposta e la propaganda politiche possono danneggiare durevolmente il processo democratico, possono contribuire a determinare la crisi della democrazia liberale rappresentativa.
Ma il danno si verifica non, come sembra sostenere l'editorialista del Corriere, per la radicalità delle soluzioni proposte o semplicemente quando le promesse elettorali non vengono mantenute. Bisogna essere ben consapevoli del ruolo e delle possibilità della democrazia rappresentativa. Il suo fondamento resta il principio enunciato da Pericle nell'Atene democratica, poi ripreso e teorizzato da Karl Popper nella Società aperta e i suoi nemici : "Benchè soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla". Non tutti possiamo governare, ma tutti possiamo giudicare chi governa.
In una democrazia liberale efficiente l'elettorato non può e non deve contribuire a formulare la politica futura. E' invece giudice della politica realizzata, contribuisce a manutenere tale democrazia mandando a casa i cattivi governi senza spargimento di sangue. "Dar vita a una buona politica" vuol dire fronteggiare rischi ed eventi imprevisti, prendere misure impopolari, compiere scelte che presuppongono conoscenze non diffuse, tener conto della complessità dei problemi e delle normali conseguenze impreviste degli atti di governo. Un governo democratico non può e non deve essere vincolato dalle promesse elettorali. La sua democraticità si esprime nella soggezione al giudizio popolare successivo.
Neppure la radicalità della proposta politica di per sè pone a rischio la libera democrazia. Semmai si rivelano pericolosi i piani troppo estesi, per questo insuscettibili di ripensamenti e correzioni di rotta efficaci. Basti pensare a uno dei principali problemi che affliggono le democrazie occidentali contemporanee: quello di un welfare costoso, insostenibile e deresponsabilizzante.
Il professor Maurizio Ferrera, uno dei migliori esperti italiani di comparazione dei welfare, nel 2011 sul Corriere della Sera ha scritto:

"I diritti sono una cosa seria, ma proprio per questo bisogna riconoscere che non sono tutti uguali. Alcuni (quelli civili e politici) tutelano libertà e facoltà dei cittadini e sulla loro certezza non si può transigere. I diritti sociali sono diversi: conferiscono spettanze, ossia titoli a partecipare alla spartizione del bilancio pubblico, che a sua volta dipende dal gettito fiscale e dal funzionamento dell'economia. Dato che al mondo non esistono pasti gratis, i diritti sociali non possono essere considerati come delle garanzie immodificabili nel tempo. Il loro contenuto deve essere programmaticamente commisurato alle dimensioni della torta di cui si dispone e all'andamento dell'economia e della demografia.
Purtroppo il welfare italiano è stato costruito ignorando questa elementare verità".

Lo stesso Ferrera, sempre sul Corriere, già nel 2004, con lungimiranza ed  esaminando il welfare cinese ha osservato che:

"Se è vero che il fiume dello sviluppo economico porterà il welfare state anche in Asia, non è detto però che si tratti di un welfare all' europea. Non è detto, in altre parole, che le economie asiatiche vedano in futuro esaurirsi il proprio vantaggio comparativo sotto questo profilo. Ciò che sta emergendo in Corea, Taiwan e Singapore è un sistema diverso dal nostro, molto più strettamente integrato con il mercato, tanto che la letteratura specialistica ha coniato il nuovo termine di «welfare state produttivistico». Tre sono gli ingredienti principali di questo modello: priorità all' istruzione e alla formazione; regolazione pubblica (ad esempio, obbligo di assicurazione medica o previdenziale), ma fornitura di prestazioni da parte di soggetti privati, tramite i canali del mercato; copertura gratuita solo per i più poveri. Anche la Cina sembra avviata in queste direzioni: in molti settori è stato ad esempio recentemente introdotto l' obbligo di copertura sanitaria, ma attraverso forme assicurative semi-private. La scelta di una via «produttivistica» al welfare ha in parte motivazioni ideologico-culturali: l' influenza dell' etica confuciana, la tradizione del paternalismo autoritario, oggi gli entusiasmi iperliberisti. In parte si tratta però di motivazioni prettamente economiche: a differenza dei Paesi europei, che hanno storicamente costruito il welfare all' interno di economie protette verso l' esterno, i Paesi asiatici devono incamminarsi verso la protezione sociale in un mondo di scambi e competizione globali".

Esiste una stretta correlazione tra struttura del welfare e attitudine alla crescita di un sistema paese. Un buon governo di fronte a una profonda crisi strutturale del welfare deve intraprendere riforme radicali. Se si sottraesse a questo dovere compromettendo le possibilità di crescita del sistema porrebbe a rischio la democrazia stessa.
Dunque quando la proposta politica diventa cattiva, quando danneggia il processo democratico? Quando rende durevolmente cattiva la domanda politica, quando diseduca l'elettore, lo spinge a non accettare la complessità e la globalità dei problemi, ingenera la convinzione che possano esistere pasti gratis, fuorvia il giudizio sui problemi della finanza pubblica nascondendo i suoi aspetti strutturali insieme più semplici ed importanti, induce ad aspettative insostenibili e tra loro inconciliabili, quando insomma contribuisce a ridurre la capacità dell'elettore di manutenere la democrazia valutando la condotta dei governi che si sottopongono al suo giudizio. Una proposta politica moderatamente demagogica può fare più danni di una proposta saggiamente e responsabilmente radicale. 




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