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giovedì 25 ottobre 2012

Giuseppe Bottai. Dal Regime alla Legione.





Giuseppe Bottai nacque a Roma nel 1895 in una famiglia di commercianti. Ricevette un'educazione di stampo risorgimentale mazziniano. Dopo il liceo si laureò in giurisprudenza.
Nel 1915 si arruolò vontario. Combattè sul Carso e sul Grappa, entrando poi nel corpo degli arditi. Come molti altri giovani della sua generazione l'esperienza della Grande Guerra lo segnò profondamente, esaltando alcuni tratti della sua personalità. "La guerra è per lui desiderio di misurarsi, combattere e vincere, una volontà di fare che trovi attuazione immediata, tangibile" (Giordano Bruno GUERRI, Introduzione a Giuseppe BOTTAI, Diario 1935 - 1944, 1994, pag. 8).
Dopo la guerra Bottai aderì al Fascismo. "Il combattimento e il comando gli hanno confermato il gusto per l'azione e la capacità del comando, la sua voglia di "fare"... nessuno, fra i grandi gerarchi - tranne, al polo opposto, Starace - subì così fortemente il fascino di Mussolini" (G. B. GUERRI, op. cit., pag. 9). Nel 1921 fu eletto deputato per il Partito Nazionale Fascista. L'anno successivo partecipò alla Marcia su Roma. Fautore della "socializzazione della libertà", della nazionalizzazione delle masse, del partito unico e di una dittatura oligarchica, per le sue doti intellettuali, la sua capacità di lavoro e l'integrità morale rappresentò a lungo un fiore all'occhiello del regime mussoliniano, assumendo l'incarico di ministro delle Corporazioni e poi dell'Educazione nazionale. Le sue riviste Critica Fascista e Primato ospitarono molti giovani intellettuali ed artisti, consentendo l'esercizio di una prudente critica al regime.
Avversò l'alleanza con la Germania e l'entrata dell'Italia nella Seconda guerra mondiale, pur non opponendosi alle "Leggi razziali", da lui applicate come ministro dell'Educazione. Con Grandi e Ciano redasse l'ordine del giorno votato dal Gran Consiglio del Fascismo a seguito del quale Mussolini cadde il 25 luglio 1943.
Scrive Bottai nel suo Diario:

"24 LUGLIO 1943 - Giornata attesa con drammatica commozione. A un bivio. Il nostro dovere ci ha messo a un bivio, tra Paese e Partito, tra Italia e Regime, tra Re e Capo. Tanto duro lavoro per unire, cementare, fondere, fare di due uno nella coscienza una; e, oggi, questo essere a un bivio, e un decidere che separa, dentro, che torce, che dilania. Ma è il dovere" (G. BOTTAI, op. cit., pag. 404).

Dopo la caduta di Mussolini si nascose in un convento fino all'ingresso a Roma degli Alleati. Nel 1944 si arruolò nella Legione straniera francese. Combattè contro i tedeschi in Francia e Germania. Dopo la guerra fu trasferito in Nord Africa. Rientrò in Italia nel 1948. Non riprese la politica attiva ma vagheggiò "un incontro tra sinistra, forze cattoliche e "buoni" conservatori" (G. B. GUERRI, op. cit, pag. 18).
Giuseppe Bottai morì a Roma, colpito dal morbo di Parkinson, nel 1959.

In Italia, dalla sua unificazione, nessun importante movimento politico si è definito conservative, conservatore. E con ragione. Cosa si doveva e si deve conservare? Il paese ha raggiunto tardi e male l'unità, è stato retto per un ventennio dal regime mussoliniano, ha ospitato il più grande e astuto partito comunista occidentale, ha conosciuto una democrazia parlamentare bloccata ed inefficiente fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica, è oggi afflitto da una profonda crisi non solo economica ma anche politico-istituzionale e morale. Di cosa dunque possiamo vantarci?
Giuseppe Bottai fu onesto, colto e  coraggioso, ben più di molti altri italiani. Ma con i suoi errori e i suoi difetti rappresenta bene un paese che anche  con la sua parte migliore non riesce a risolvere i propri problemi e le proprie contraddizioni. Quello che rimane irrisolto è prima di tutto il nostro rapporto con la modernità, mai davvero accolta in profondità, nel modo giusto, con strumenti culturali ed istituzionali adeguati.
L'Italia di oggi, coi suoi vizi strutturali, è chiamata a reggere la globalizzazione, a fronteggiare una competizione globale. Solo riflettendo coraggiosamente sulla propria diversità può migliorare prospettive che paiono inquietanti.

giovedì 18 ottobre 2012

Italia: il merito e il bisogno.


Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, due tra i più lucidi intellettuali liberali italiani, hanno più volte denunciato i gravi difetti dello Stato sociale italiano che "si è trasformato in una macchina che tassa le classi medio-alte e fornisce servizi non solo ai meno abbienti (com'è giusto che sia) ma anche alle stesse classi a reddito medio-alto. Questo giro di conto, con aliquote alte, scoraggia il lavoro e la produzione".
"Che senso ha tassare metà del reddito delle fasce più alte per poi restituire loro servizi gratuiti? Meglio che li paghino e contemporaneamente che le loro aliquote vengano ridotte. Aliquote alte scoraggiano il lavoro e l'investimento" (Corriere della Sera, 23 settembre 2012).
La pressione fiscale italiana resta altissima, ostacolando una adeguata crescita economica,  per finanziare un welfare che manca il suo obiettivo essenziale: sostenere chi non ce la fa da solo, dare agli indigenti un aiuto adeguato. La gravità della situazione è rappresentata con chiarezza nel Rapporto 2012 su povertà ed esclusione sociale in Italia della Caritas Italiana ed è stata ben delineata dallo stesso Corriere della Sera:

"C'è una «evidente incapacità» dell'attuale sistema di welfare a farsi carico delle nuove forme di povertà, delle nuove emergenze sociali derivanti dalla crisi economico-finanziaria".

"Negli ultimi 3 anni, dall'esplosione della crisi economica, si legge nel Rapporto, c'è stata un'impennata degli italiani che si sono rivolti ai centri Caritas: aumentano casalinghe (+177,8%), anziani (+51,3%) e pensionati (+65,6%)".

I liberali aspirano a una società libera, grande, buona. Non possono rimanere indifferenti davanti alla sofferenza umana. Tale indifferenza non appartiene al miglior pensiero liberale. Ha scritto Karl Popper ne La Società aperta e i suoi nemici (vol. II, capitolo ventiquattresimo, 3):

"La richiesta politica di metodi gradualistici (in opposizione ai metodi utopistici) corrisponde alla decisione che la lotta contro la sofferenza dev'essere considerata un dovere, mentre il diritto di preoccuparsi della felicità degli altri dev'essere considerato un privilegio limitato al ristretto cerchio dei propri amici".

"La pena, la sofferenza, l'ingiustizia e la loro prevenzione, questi sono gli eterni problemi di morale pubblica, gli "agenda" della politica pubblica... I valori "superiori" dovrebbero essere in larghissima misura considerati come "non agenda" e dovrebbero rientrare nell'ambito del laissez-faire".

In Italia il merito non è premiato. La difesa di corporazioni e privilegi blocca la crescita e preclude una sufficiente mobilità sociale. La concorrenza regolata da norme chiare, semplici e ragionevoli spesso non è neppure auspicata. Mentre il bisogno non trova adeguato sollievo. Occorre che merito e bisogno si incontrino e si comprendano, riportando sulla via dello sviluppo un paese oggi in declino.

giovedì 11 ottobre 2012

Cina e Giappone. Una contesa con esclusione di colpi.



Sono tuttora aperte controversie tra Giappone, Russia, Corea del Sud e Cina sulla sovranità di alcune isole. Il Giappone contende le Curili/Kiril alla Russia, le Dokdo/Takeshima alla Corea del Sud, le Senkaku/Diaoyu alla Cina. Quest'ultima disputa desta oggi le maggiori preoccupazioni.
Sulla questione è disponibile un interessante articolo de La Voce della Russia, che ha sostituito la Radio Mosca dell'Unione Sovietica.
Scrive Vasilij Kašin della redazione online:

"La crisi attorno alle isole Senkaku, conosciute in Cina come isole Diaoyutai, ha scatenato nei media cinesi e giapponesi pubblicazioni che inneggiano alla forza.
In realtà, però, siamo molto lontani da un conflitto armato. Le parti stanno facendo il possibile per escludere uno sviluppo della situazione in questo senso".

"In Cina si ritiene che il Giappone sia legato da un accordo di sicurezza agli Usa, i quali hanno confermato di essere pronti a sostenere il Giappone in caso di conflitto. Accanto alle condizioni politiche, la Cina non ha al momento le possibilità militari per stabilire un controllo sulle isole Senkaku".

"Se la disputa intorno alle isole passerà alla fase calda, per la flotta e l’aeronautica cinese sarà una umiliante sconfitta. Secondo la maggior parte degli esperti, al momento, i giapponesi godono di una grande superiorità materiale e una enorme superiorità per quanto riguarda la preparazione del personale. I cinesi non hanno ancora approvato i nuovi sistemi, il grado di preparazione dell’equipaggio lascia aperte molte questioni.
Non bisogna nemmeno esagerare il ruolo di ricostruzione della portaerei Varjag. La nave non avrà nel breve periodo un ruolo militare. L’esperienza di costruzione della flotta oceanica sovietica negli anni 1960-70 dimostra che si tratta di un lavoro che bisogna portare avanti senza interruzione per alcuni anni, prima di ottenere dei risultati. La Cina ha bisogno di una Flotta importante per la difesa delle comunicazioni marine e delle proprie acque territoriali, ma non bisogna aspettarsi risultati immediati".

Si tratta di valutazioni tutto sommato condivisibili. Probabilmente i dirigenti cinesi perseguono prima di tutto obiettivi di politica interna. Il regime ha oggi bisogno di ravvivare i già forti sentimenti nazionalisti. Ma è presente anche l'intenzione di mettere alla prova l'alleanza USA - Giappone, alla cui solidità e vitalità guardano con attenzione gli altri alleati asiatici degli Stati Uniti.
Sullo sfondo il tema della tecnologia militare e della esportazione di armi. In questo settore la Cina è ormai diventata il più abile e spregiudicato competitore della Russia. La consultazione del fondamentale database di SIPRI.org consente di individuare consolidate tendenze nella esportazione mondiale di armi. Perfino in Iran e Zimbabwe l'industria degli armamenti cinese  ha trovato sbocchi. Un punto di frizione tra le due potenze destinato a diventare sempre più importante.                                                                            

giovedì 4 ottobre 2012

Piero Melograni. Totalitarismi reazionari e potenti impotenti.




 Il 27 settembre 2012 è morto a Roma, dove era nato, il professor Piero Melograni. Eminente storico dell'età contemporanea, ha insegnato a lungo all'Università di Perugia. Uscito dal Partito comunista italiano dopo la sanguinosa repressione della Rivoluzione ungherese compiuta dai Sovietici nel 1956, è diventato uno dei più brillanti intellettuali liberali italiani. Nel 1996 è stato eletto in Parlamento come indipendente nelle liste di Forza Italia.
I suoi studi sulla Prima guerra mondiale e sul Ventennio mussoliniano hanno contribuito incisivamente al progresso della storiografia italiana. Ma sono da ricordare anche i suoi saggi che costituiscono il frutto di una riflessione di largo respiro sulla storia, in particolare sul passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale, dalla società chiusa alla società aperta. 
In Fascismo, comunismo e rivoluzione industriale (1984)  Melograni pone in evidenza i tratti reazionari di fascismo e comunismo:

"...il fascismo, il comunismo e la rivoluzione industriale. Fra questi tre fenomeni esiste un nesso molto stretto. La rivoluzione industriale è la rivoluzione più sconvolgente del nostro tempo: comunismo e fascismo costituiscono due forme di reazione contro di essa" (pag. 1).

"Le società capitalistico-industriali hanno offerto un grado superiore  di libertà. Ma lo hanno offerto grazie agli elementi di instabilità e disordine in esse presenti. Occorre riconoscere che proprio da questa interdipendenza fra disordine e libertà sono scaturiti i problemi più drammatici per il mondo nuovo" (pag. 6).

"Le masse apprezzano i vantaggi materiali offerti dal mondo nuovo, ma temono di pagare un prezzo troppo alto in termini esistenziali. In realtà le masse, e anche le élites, non possiedono ancora una cultura che le aiuti a vivere nel mondo nuovo".

"Il mondo nuovo vorrebbe il paradiso in terra, e non lo trova" (pag. 7).

Sono considerazioni in larga misura riconducibili alla più ampia teorizzazione esposta da Karl Popper nella Società aperta e i suoi nemici già durante la Seconda guerra mondiale:

nella Grecia del sesto secolo avanti Cristo "troviamo i primi sintomi di un nuovo disagio. Si cominciò a sentire l'effetto stressante  della civiltà. Questo effetto stressante, questo disagio, è una conseguenza del collasso della società chiusa. Esso è avvertito anche ai nostri giorni, specialmente in periodi di mutamenti sociali. E' l'effetto stressante prodotto dallo sforzo che la vita in una società aperta e parzialmente astratta richiede continuamente da noi - con l'esigenza di essere razionali, di rinunziare ad alcuni almeno dei nostri bisogni sociali emozionali, di badare a noi stessi  e di accettare le responsabilità"  (ed. 1973, rist. 1981, vol. I, cap. decimo, pp. 248 e 249).

Con Popper Melograni rileva il carattere reazionario dei totalitarismi del Novecento, che rappresentano una reazione alla società aperta incipiente. 
Un'altra opera dello storico romano mostra l'ampiezza e la profondità della sua riflessione storica. Nel Saggio sui potenti Melograni offre una visione realistica della storia:

"Ma in tutti i luoghi l'assetto politico-sociale è il risultato di tendenze e di forze numerose e complesse, materiali e spirituali, razionali e irrazionali, difficilmente controllabili. Nel continuo, intricato, ondeggiante accavallarsi di tutte queste forze e tendenze deve essere cercata la spiegazione delle diverse situazioni storiche nelle quali gli individui e le collettività si trovano concretamente ad operare. Gli stessi capi... sono profondamente condizionati e spesso addirittura travolti dalla circostante realtà" (ed.1977, pag. 123).

Come spesso accade durante i periodi di crisi, anche oggi le teorie del complotto e della cospirazione fuorviano l'attenzione, distogliendola da problemi ed errori sotto gli occhi di tutti. La lezione del Saggio sui potenti rappresenta un antidoto contro questa tendenza irrazionale che affligge l'opinione pubblica proprio quando la lucidità appare più necessaria.


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