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venerdì 24 febbraio 2012

Tocqueville e Russell. Le donne americane.

Tocqueville (La Democrazia in America, libro terzo, parte terza, capitolo dodicesimo):

"Gli americani mostrano continuamente una piena fiducia nella ragione della loro compagna e un rispetto profondo per la sua libertà. Essi giudicano che il suo spirito sia altrettanto capace di scoprire la verità quanto quello dell'uomo ed il suo cuore abbastanza costante per seguirla".

"Se ora che mi avvicino alla fine di questo libro, in cui ho mostrato tante cose considerevoli fatte dagli americani, mi si domandasse a cosa io credo si debba attribuire la singolare prosperità e la forza sempre crescente di questo popolo, risponderei che la si deve alla superiorità delle sue donne".

Un secolo dopo, Bertrand Russell:

"L'azione della donna è sempre stata maggiore negli Stati Uniti che in qualsiasi altro paese, e nelle comunità di frontiera essa si svolse nel senso della civiltà. Ciò era dovuto in parte al fatto che esse non bevevano whisky, in parte al desiderio di una distinzione sociale, in parte al sentimento materno e in parte al fatto che erano imbevute meno dei loro mariti del selvaggio desiderio, proprio dell'avventuriero, di liberarsi delle pastoie di una società artificiale. Alla frontiera vi erano naturalmente meno donne che uomini, e questo le aiutava a imporre rispetto. Nonostante la sfrenatezza delle riunioni all'aperto, la religione era nel complesso una forza purificatrice, e in genere le donne erano più religiose degli uomini. Per tutti questi motivi, le donne tenevano viva l'aspirazione a una esistenza ordinata, anche in condizioni che, per il momento, la rendevano impossibile" (Bertrand RUSSELL, Storia delle idee del secolo XIX, 1968, pagg. 363 e 364, tit. orig. Freedom and Organization, 1814–1914).

Un grande paese deve soprattutto alle sue donne la propria fortuna.




venerdì 17 febbraio 2012

Obama e i talebani. Come rendere inutili dieci anni di guerra.

I governi statunitense e afghano hanno intrapreso trattative segrete trilaterali per porre fine al conflitto in Afghanistan. Questi sviluppi sono stati resi possibili dalla recente apertura di un ufficio diplomatico dei talebani a Doha (Qatar) e dalla disponibilità dell'amministrazione USA a favorire il trasferimento in Qatar di non più di cinque terroristi detenuti a Guantanamo.
Oltre alla liberazione dei detenuti nel carcere cubano i talebani chiedono l' uscita dall'Afghanistan delle truppe straniere. Mentre il governo americano dichiara di esigere la fine della lotta armata, la rescissione dei legami con al-Qaeda e l'accettazione della nuova costituzione afghana, con la garanzia dei diritti di uomini e donne.
Le elezioni si avvicinano. Obama è gravato del bilancio fallimentare della sua presidenza. Lo sbrigativo ritiro dall'Iraq e dall'Afghanistan si spiega con la necessità di recuperare consensi e di contenere la spesa pubblica. Ma la sofferta vittoria in Iraq viene così posta a rischio mentre appare certa l'incapacità del governo afghano di provvedere alla sicurezza del proprio territorio senza il decisivo contributo delle truppe occidentali.
AsiaNews è una agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere (P.I.M.E.). Solitamente molto ben informata, è una fonte preziosa per chi vuole sapere cosa succede in Asia.
Secondo le fonti di AsiaNews " Stati Uniti e governo afghano sono in una posizione di debolezza rispetto ai ribelli, che in questi mesi hanno ripreso il controllo di diverse aree del Paese e in settembre sono riusciti a sferrare un attacco nella capitale. "Se le truppe internazionali lasciassero ora l'Afghanistan - sottolineano - il Paese piomberebbe nel caos. A tutt'oggi l'esercito afghano è troppo impreparato e non ha sufficienti mezzi per garantire la sicurezza. L'uscita da al-Qaeda non è una garanzia di abbandono totale della guerriglia. Ci sono molti gruppi terroristi afghani legati ai talebani che nulla hanno a che fare con l'organizzazione. Inoltre nessun leader islamico si è espresso sul riconoscimento della costituzione afghana".
Tali fonti "criticano l'eccessiva esuberanza con cui l'amministrazione Obama sta gestendo gli incontri. Per spingere gli estremisti islamici a iniziare subito i colloqui, nelle scorse settimane Barak Obama, presidente USA, ha proposto il rilascio di tre detenuti dal carcere di massima sicurezza. "Gli Stati Uniti - sottolineano - sono troppo sbrigativi. Alcuni dei detenuti hanno commesso stragi di civili e sono in carcere per crimini contro l'umanità e non possono essere rilasciati senza garanzie". "Il futuro del Paese - concludono - dipende dal dialogo con i talebani, la guerra non può più andare avanti. Per non rendere inutili questi anni di continui combattimenti e spargimenti di sangue, i negoziatori dovranno però essere risoluti a non cedere sulle conquiste della lotta contro i talebani: democrazia e rispetto dei diritti umani".
Ma si tratta in realtà di richieste inconciliabili. Il disimpegno bellico degli alleati occidentali in Afghanistan non potrà avvenire senza compromettere lo sviluppo della democrazia afghana e senza consentire il ritorno al potere dei gruppi talebani più influenti, secondo l'opinione prevalente controllati dal Pakistan.
Obama conferma il suo ruolo di curatore fallimentare. Può darsi che i suoi elettori apprezzino l'abbandono di responsabilità oggi difficili da sostenere, non vedendo le conseguenze negative che potranno derivarne.


sabato 11 febbraio 2012

Il successo di Newton. Il pericoloso fascino della scienza trionfante.

Isaac Newton

E' diffusa la consapevolezza della immensa influenza che la scienza esercita sulla vita umana aprendo la via a nuovi prodotti e processi produttivi. Si riflette invece troppo poco sulle relazioni tra l'impresa scientifica e il clima intellettuale e politico. Il successo straordinario di alcuni programmi di ricerca scientifici, le teorie di Newton, Darwin e Einstein, ha contribuito potentemente a mutare visioni morali e politiche e quindi il corso stesso della storia. Una migliore conoscenza della storia della scienza ed una più attenta considerazione della portata dell'impresa scientifica sono oggi più che mai indispensabili.
La meccanica celeste newtoniana ha rappresentato il primo programma di ricerca capace di conseguire un successo imponente ed assoluto. La sua divulgazione in termini agiografici ha trasfigurato Newton costruendo il mito dello scienziato illuminista e positivista.
Imre Lakatos ha fornito una efficace sintesi di questi sviluppi (La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, 2001, pag. 278):

"L'influenza del successo newtoniano raggiunse anche il pensiero politico".

"La lotta per il riconoscimento della meccanica celeste di Newton come episteme prese un certo tempo; ma, quando ciò accadde, l'intero clima intellettuale subì un tremendo mutamento. Buona parte del pensiero del del diciottesimo secolo fu determinato dai due principali eventi del secolo precedente, i cui effetti furono contrastanti. Il primo fu costituito dalle terribili sofferenze e dal caos creati dalla guerra fra cattolici e protestanti. Il secondo dalle scoperte di Newton. La reazione al primo evento fu un tollerante illuminismo scettico: non c'era modo di ottenere la verità dimostrata sulle questioni più importanti, quindi chiunque doveva aver diritto alle proprie credenze. Il più noto esponente di questa posizione fu Bayle. La reazione al secondo evento fu un intollerante illuminismo dogmatico: la luce della scienza - che andava estesa a tutti i domini della conoscenza umana - doveva scacciare le tenebre pre-newtoniane e anche le tenebre della Chiesa. Il leader di questo movimento fu il newtoniano Voltaire. L'influenza di questo intollerante illuminismo dogmatico superò ben presto quella della sua controparte scettica e tollerante e generò le idee della democrazia totalitaria."

Ma il trionfo conseguito dalle teorie di Newton influenzò profondamente anche Kant. Sul tema le lucide considerazioni di Karl Popper (Congetture e confutazioni, 2000, pagg. 161 e 162):

"Forse è difficile per degli intellettuali dei giorni nostri, avvezzi e assuefatti di fronte allo spettacolo dei successi scientifici, comprendere quel che significava la teoria newtoniana, non solo per Kant ma per qualunque pensatore del diciottesimo secolo".

"In un tempo come il nostro, in cui le teorie vanno e vengono come gli autobus a Piccadilly, e ogni scolaro ha sentito dire che Newton è stato da tempo sostituito da Einstein, è difficile riprovare il senso di persuasione, esultanza e liberazione che la teoria newtoniana ispirava. Nella storia del pensiero era accaduto un evento unico, per sempre irripetibile: la prima e definitiva scoperta della verità assoluta intorno all'universo. Un antico sogno si era avverato. L'umanità aveva conseguito la conoscenza, reale, certa, indubitabile e dimostrabile - scientia o episteme divina, e non meramente doxa, opinione umana.
Per Kant, dunque, la teoria newtoniana era semplicemente vera, e la credenza nella sua verità restò intatta per un secolo dopo la sua morte"

Popper sottolineò il ruolo rivoluzionario delle teorie di Einstein (op. cit., pag. 52):

"... può apparire strano che nella sua filosofia della scienza Kant non abbia adottato lo stesso atteggiamento del razionalismo critico, la ricerca critica dell'errore. Sono certo che solo l'accettazione della cosmologia di Newton come autorità - risultato del successo quasi incredibile nel superare i controlli più severi - impedì a Kant di farlo. Se questa interpretazione è corretta, allora il razionalismo critico, e anche l'empirismo critico da me sostenuto, non è altro che il tocco ultimo apportato alla filosofia critica di Kant. E ciò fu reso possibile da Einstein, il quale ci insegnò che, nonostante il suo schiacciante successo, la teoria di Newton può anche essere errata".

La rivoluzione scientifica realizzata dal fisico tedesco determinò in larga misura l'incisiva revisione dell'idea di scienza che ha segnato la migliore filosofia contemporanea. Ancora il grande filosofo austriaco sugli effetti della rivoluzione einsteiniana (Karl POPPER, La ricerca non ha fine, 1978, pag. 85):

"L'elemento decisivo in tutto questo, il carattere ipotetico di tutte le teorie scientifiche, mi appariva chiaramente come una conseguenza del tutto naturale della rivoluzione einsteiniana, che aveva dimostrato che nemmeno una teoria controllata col massimo successo, come la teoria di Newton, poteva essere considerata più che un'ipotesi, un'approssimazione alla verità".

Anche la portata extrascientifica del successo della teoria dell'evoluzione di Darwin merita una approfondita analisi. Sull'argomento ha scritto brillantemente il biologo e paleontologo statunitense Stephen Jay Gould.

Resta da biasimare l'involuzione che caratterizza il dibattito pubblico contemporaneo sulla scienza in Italia. Le opere divulgative di noti matematici, astrofisici e biologi bene in vista sugli scaffali delle librerie troppo spesso ripropongono la visione della scienza sostanzialmente dogmatica e intollerante criticata con successo dai grandi filosofi della scienza della seconda metà del Novecento (Popper, Lakatos, Kuhn, Feyerabend). Un regresso da indagare con attenzione, sottolineando il ruolo delle passioni politico-ideologiche.




sabato 4 febbraio 2012

Alta pressione fiscale e crescita. Una convivenza impossibile.

E' di qualche giorno fa un importante articolo di Antonio Martino:

"...il potenziamento del fondo salva Stati cos’è se non una sorta di assicurazione offerta agli Stati gratuitamente per l’eventualità che non rispettino la disciplina fiscale loro imposta?... Da un lato si vuole rigore nella gestione del pubblico bilancio, dall’altro si garantisce che eventuali violazioni di quel rigore saranno premiate con risorse fornite dal fondo!".

"...il tentativo di eliminare i deficit di bilancio degli Stati ai livelli di spesa pubblica attuali condanna l’intera Europa a una grave recessione, le cui dimensioni, temo, saranno ben maggiori di quanto già previsto. Il principio del pareggio del bilancio su base annua è fondamentale principio di trasparenza nella gestione della cosa pubblica quando le spese del settore pubblico sono contenute. Diventa, invece, garanzia di recessione quando, come oggi in Italia, la spesa pubblica supera il 52% del reddito nazionale. Per pareggiare il bilancio sarebbe necessaria una pressione fiscale del 52% e il contribuente medio dovrebbe sopportare un’aliquota del 52%. Se il prelievo medio è a quel livello, dato che esistono anche contribuenti poveri, quelli che hanno un reddito superiore alla media dovranno versare al fisco ben più della metà di quanto producono. L’aliquota media gravante sulle imprese supererebbe agevolmente il 70-80%".

"Lo sviluppo diventa matematicamente impossibile: se deve consegnare più di metà del suo reddito, è assai dubbio che il contribuente possa darsi alla pazza gioia, accrescendo i consumi, o che possa stringere la cinghia risparmiando quanto necessario a una crescita degli investimenti".

"Stiamo senza esitazione condannando il vecchio continente e forse l’intero pianeta a una crisi grave ed evitabile. L’Italia ha bisogno urgente di riforme, che portino alla trasformazione dell’attuale, insostenibile sistema di trasferimenti. Il servizio sanitario nazionale dovrebbe smettere di essere universale, prendendo a tutti per dare (non sempre) a tutti, e diventare selettivo, prelevando dagli abbienti per dare agli indigenti. Costerebbe molto meno, sarebbe meno esposto alla corruzione e non sarebbe più regressivo; oggi grava di tributi anche i meno abbienti per fornire servizi gratuiti anche ai ricchi, la sua inefficienza è testimoniata dalla frequenza di episodi di malasanità, la sua corruzione è ampiamente documentata e il suo costo è astronomico".

"La governance locale non è sostenibile: i quattro quinti degli oltre ottomila comuni sono del tutto superflui, la maggior parte delle province non ha ragion d’essere e le regioni sono troppo grandi o troppo piccole per essere un efficiente ente locale. Quanto ai parchi nazionali ne basterebbe un numero drasticamente minore, lo stesso vale per le comunità montane, le autorità indipendenti e così via".

"Queste riforme consentirebbero di ridurre la spesa pubblica a un livello inferiore al quaranta per cento del reddito nazionale e potrebbero con grande tranquillità essere accompagnate da una radicale riforma fiscale che porti le aliquote medie delle imposte dirette a livelli non superiori al venti per cento".

Il professor Antonio Martino, con coraggio e lucidità, si pone fuori dal coro dei conformisti e mette il dito sulla piaga:
"Lo sviluppo diventa matematicamente impossibile: se deve consegnare più di metà del suo reddito, è assai dubbio che il contribuente possa darsi alla pazza gioia, accrescendo i consumi, o che possa stringere la cinghia risparmiando quanto necessario a una crescita degli investimenti".
L' Italia può sperare di risalire la china della competitività solo riducendo la pressione fiscale, ormai superiore alla metà del PIL, mentre in Cina probabilmente non supera il 20%. E può conseguire questo risultato solo riformando dalle fondamenta il suo welfare, che "oggi grava di tributi anche i meno abbienti per fornire servizi gratuiti anche ai ricchi".
Alle considerazioni di Martino si deve aggiungere che uno stato sociale più corto e diretto alla protezione di chi ha realmente bisogno della mano pubblica è esattamente quello previsto dalla Costituzione italiana vigente. La Repubblica è infatti chiamata a garantire cure gratuite "agli indigenti" (art. 32 Cost.) e a rendere effettivo il diritto dei " capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi", di "raggiungere i gradi più alti degli studi" "con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso" (art. 34 Cost.).


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