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martedì 30 aprile 2013

Unione europea. Meno lavoro nelle telecomunicazioni.





Su corrierecomunicazioni.it, quotidiano online d'informazione sull'ICT, Luciana Maci delinea le inquietanti prospettive occupazionali del settore telecomunicazioni in Europa:

"I carrier europei potrebbero tagliare la forza lavoro del 30% nei prossimi 5 anni, per una perdita complessiva di oltre 300.000 posti: lo sostiene Franca Salis Madinier, presidente del sindacato Uni Europa Icts, che rappresenta i dipendenti del settore tlc in 27 Paesi europei. Ed entro dieci anni, prosegue Madinier, potrebbero addirittura risultare dimezzati i posti di lavoro nelle telco del continente, che a tutt’oggi ammontano complessivamente a circa 1,1 milioni.
Secondo un approfondimento pubblicato oggi da Bloomberg, alcuni dei licenziamenti potrebbero essere dovuti alla decisione degli operatori di dislocare la forza lavoro fuori dall’Unione europea, in aree dove il costo del lavoro è inferiore e ci sono legislazioni meno restrittive sull’impiego".

"Secondo gli analisti interpellati da Bloomberg, tra gli elementi che portano inevitabilmente a una riduzione della forza lavoro c’è la costante evoluzione delle tecnologie: l’upgrade dal rame alla fibra ottica e le reti Lte/4G, con maggiori livelli di self-management,  sono fattori che inducono verso il consolidamento. Così, in un clima di forte crisi dell’eurozona e con la guerra dei prezzi tra operatori mobili, gli investitori continuano ad invocare tagli più netti sul fronte della forza lavoro".

Alcuni dei principali datori di lavoro europei danno così un rilevante contributo alla riduzione dell'occupazione. Le dispute tra fautori e critici del cosiddetto rigore infuriano, mentre si attribuiscono virtù taumaturgiche all'allargamento della base monetaria e alle politiche di bilancio accomodanti. Ma sempre più competitività e produttività sembrano il cuore del problema.
Ciò che ci avvantaggia come consumatori di beni e servizi spesso oggi ci pone in difficoltà come produttori. Assetti raggiunti in sistemi protetti si rivelano inefficienti ed insostenibili nella economia globalizzata. Bisogna sciogliere nodi che appaiono inestricabili, controllare pressioni e tendenze difficili da spiegare prima che da piegare, imparare dagli errori compiuti.

martedì 23 aprile 2013

Un programma per l'Italia.




Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 22 aprile 2013 delineano un programma per l'Italia:

"In campo economico ci sono due priorità: abbassare le tasse su lavoro e investimenti e far ripartire il credito a famiglie e imprese".
"Il taglio della pressione fiscale deve essere significativo. Ridurre le tasse di qualche miliardo non basta per far ripartire la fiducia e l'economia. Un obbiettivo di 4 punti di Pil (circa 50 miliardi), che ci allineerebbe alla pressione fiscale tedesca, non è irraggiungibile nell'arco di qualche anno".
"Dove trovare le risorse? 10-12 miliardi di sussidi si possono abolire da domani, come da mesi chiede Confindustria".
"La situazione del Paese è troppo grave per potersi permettere il lusso di continuare a finanziare servizi sostanzialmente gratuiti per tutti, anche per i ricchi, a partire da università e sanità. Ai ricchi va offerto uno scambio: meno tasse, ma in compenso cominceranno a pagare alcuni servizi. Uno studente universitario costa allo Stato, in media, 7 mila euro l'anno. I ricchi, dopo che gli sono state abbassate le tasse, devono pagarne 10. Con i 3 che avanzano si possono finanziare borse di studio per i meno abbienti meritevoli. Lo stesso vale per la sanità che non può essere gratuita per tutti".
"La commissione Ceriani ha individuato 30 miliardi di agevolazioni fiscali, molte delle quali concesse a chi urlava di più. Qualcosa si può recuperare subito. Gli incentivi alle energie rinnovabili costano a famiglie e imprese (che li pagano in bolletta), oltre 10 miliardi l'anno. Una parte di questi denari sono una rendita concessa a chi ha investito nelle rinnovabili".
"Secondo, far ripartire il credito. Le banche oggi non prestano perché ... non hanno abbastanza capitale. Occorre urgentemente costituire delle bad bank , cioè togliere i crediti andati a male dai bilanci delle banche - spostandoli in nuove società, appunto le cosiddette bad bank - perché solo banche "ripulite" possono attirare nuovi investitori e così rafforzare il loro patrimonio".
"Dopo un intervento radicale su tasse e spese (non prima), con Bruxelles si potrà negoziare".

Il taglio dei sussidi alle imprese consente non solo di realizzare risparmi ma anche di ridurre i tratti clientelari del nostro capitalismo. La fortuna dei nostri imprenditori deve dipendere sempre meno dalle relazioni con il potere politico e sempre più dalla capacità di competere con successo nella economia globalizzata grazie alla qualità di prodotti e servizi offerti. Mentre la ristrutturazione del welfare nella direzione indicata dai professori Alesina e Giavazzi imprime al sistema maggiore efficienza, massimamente se è sempre possibile la scelta diretta tra diversi fornitori di servizi in concorrenza tra loro. Chi paga un servizio è spinto a chiedere il suo adeguamento a standard qualitativi più elevati e comunque a pretendere prestazioni soddisfacenti.
Di queste riforme il paese ha bisogno subito, prima che il declino diventi inarrestabile. Le resistenze saranno forti perchè larghi settori del ceto medio italiano sono insieme vittime e beneficiari dell'attuale assetto sclerotico, inefficiente e clientelare. Occorrono coraggio e lungimiranza. Doti rarissime in una Italia sempre assetata di benessere e sicurezza immediati e inconciliabili.



mercoledì 17 aprile 2013

Il welfare degli enti locali. Fare meglio con meno.




Elisabetta Gualmini è professore ordinario di Scienza della Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche  dell'Università di Bologna. Dal 12/07/2011 è presidente della fondazione di ricerca "Istituto Carlo Cattaneo".  In un articolo su La Stampa del 15 aprile 2013 delinea le condizioni e le prospettive del welfare gestito dagli enti locali italiani. Scrive la professoressa Gualmini:

"Come quando si gioca a palla avvelenata, durante la crisi più dura del secondo dopoguerra, lo Stato ha scaricato gran parte degli obblighi del risanamento finanziario alle regioni e agli enti locali".
" È il “decentramento della penuria”, andato in scena, a forza di sottrazioni, dal 2008 ad oggi, per un totale di oltre 33.000 milioni di euro. Per intenderci, i colpi di accetta sono arrivati a ridurre della metà le risorse degli enti locali (-45% nel 2013)".  
 "I welfare locali sono dunque stati rimaneggiati e riaggiustati con un mix di risposte che vanno dal tutto pubblico al tutto privato, ma che tendono in ogni caso alla de-istituzionalizzazione della cura e quindi richiedono una alleanza con la generazione di mezzo...".
"Il cambiamento dei modelli organizzativi. La rete dei servizi è stata completamente ridisegnata nei territori. Come gli aeroporti, le strutture ospedaliere sono delle reti con al centro ospedali più grandi e altamente specializzati e intorno piccoli presidi per degenze ordinarie e a ciclo breve... Tutto cucito insieme da finanziamenti che solo per il 61% sono pubblici, mentre il restante 39% sono privati (tra contratti outdoor per i fornitori e compartecipazione dei cittadini)".
" Il discorso sul welfare ha dunque bisogno di un nuovo repertorio di soluzioni, di un nuovo lessico e di un rapporto virtuoso tra pubblico e privato".

Nelle democrazie occidentali contemporanee i problemi della finanza pubblica hanno origine in larga misura nel welfare, compreso quello decentrato, e lì devono in altrettanto larga misura trovare soluzione. L' attuale "decentramento della penuria" chiama gli enti locali ad una sua ricostruzione secondo nuove linee guida.
Il rinnovato welfare dovrà sempre più poggiare sulla disciplina pubblica di strumenti privati, dare applicazione coerente al principio di sussidiarietà, che riserva il sostegno pubblico a chi non ce la fa da solo, consentire ai cittadini la scelta del fornitore di prestazioni, in regime di concorrenza. Con effetti positivi anche sotto il profilo dell' equità: devono essere eliminati i tratti regressivi del sistema attuale, dove spesso le imposte pagate dai meno abbienti  consentono di fornire servizi gratuiti o semigratuiti ai benestanti. 
Gli amministratori locali italiani devono fare meglio con meno. Missione impossibile per chi ha saputo dare pessima prova quando le risorse parevano infinite?

mercoledì 10 aprile 2013

Russia. La saturazione dell'impero.

Lo zar Alessandro III

Su Russia OGGI un importante articolo del ministro russo degli Esteri Lavrov pubblicato sulla rivista International Affair n° 3  del 2013. Lavrov espone le nuove Linee Guida in Politica Estera della Federazione Russa, ratificate dal presidente Putin il 12 febbraio 2013.
Scrive il ministro degli Esteri:

"Lo scopo principale dell’attività internazionale della Russia è la creazione di condizioni esterne favorevoli alla crescita economica, alla sua transizione verso modelli innovativi e all’innalzamento del tenore di vita delle persone.
È evidente che per garantire il graduale accrescimento delle potenzialità del Paese è necessario un contesto internazionale di stabilità, ed è per questo che la Russia considera la tutela della pace e della sicurezza mondiale non solo come uno dei suoi doveri principali in quanto membro della comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche la chiave per la realizzazione dei propri interessi".
"Siamo convinti che il metodo migliore per evitare che la concorrenza globale possa sfociare in conflitti di forza consista nel lavorare instancabilmente affinchè le nazioni più rilevanti nel contesto mondiale, la cui posizione sia determinata in base a parametri geografici e di civilizzazione, abbiano garantito il ruolo di guida della collettività.
Gli sforzi della diplomazia russa sono pertanto volti a influenzare positivamente i processi globali che concorrono alla formazione di un sistema di relazioni internazionali policentrico stabile e, per quanto possibile, autoregolantesi, in cui la Russia riveste a pieno diritto il ruolo di centro chiave".

Nell'articolo è esplicito il richiamo alla visione dello zar Alessandro III che, proprio alla sua salita al trono (1881), delineò una politica estera al servizio dello sviluppo interno del suo impero. Le attuali Linee Guida russe prefigurano un assetto internazionale policentrico, un approccio multidirezionale ed una diplomazia reticolare, in cui la tutela della pace diventa condizione della piena realizzazione delle potenzialità economiche, sociali e culturali della Federazione russa. 
Questo grande paese - adottando l'efficace espressione bismarckiana - è "saturo" di territorio e di ricchezze naturali, ma resta lontano dall'obiettivo di modernizzarsi profondamente e diffusamente, nel rispetto dei principi dello stato di diritto ed estendendo i benefici della prosperità economica a larghi settori della popolazione. Una "saturazione", quest'ultima, che può essere conseguita solo con una equilibrata politica estera.

mercoledì 3 aprile 2013

Storia e capitale civico.


Nel suo recente Manifesto capitalista Luigi Zingales scrive:

"A colmare il divario fra ciò che sappiamo e ciò che dovremmo sapere per prendere una decisione davvero consapevole ci pensa la fiducia: fiducia nella controparte e, più in generale, nell'intero sistema". "La fiducia facilita le transazioni perché consente di risparmiare sui costi di controllo e verifica: è un lubrificante essenziale per gli ingranaggi dell'economia" (p. 250)
"La fiducia è solo un esempio di ciò che chiamo "capitale civico", ossia l'insieme delle aspettative e dei valori che favoriscono la cooperazione" (p. 253).
"Il capitale civico è un fattore produttivo al pari di quello fisico e umano. Nei Paesi in cui è più elevato, c'è meno corruzione e più sicurezza pubblica, la pubblica amministrazione lavora meglio e le aziende private crescono in maniera più efficiente" (p. 254).
"Le ricerche su come si costruisce il capitale civico sono ancora agli albori". "Anche in questo caso la storia gioca un ruolo fondamentale" (p. 254).
In questa prospettiva giova citare alcune considerazioni di Montesquieu, che visitò l'Italia tra l'agosto 1728 e il luglio 1729.





Nel suo Viaggio in Italia (1990) scrive:

" I sudditi del Papa si lamentano del governo dei preti, ma non c'è governo più mite. Il Papa manda denaro in quasi tutti i paesi dei suoi Stati" (p. 279).
" Durante quasi tutti i miei viaggi ho notato che più il popolo è miserabile, più è furbo e imbroglione. A Modena, dove il popolo è oppresso dalle imposte, non si può scambiare una moneta d'argento senza essere derubati; a Bologna, invece, dove sta bene, ci si può fidare di più, eppure sono a 2 poste l'una dall'altra" (p. 289).

Il grande precursore francese del liberalismo sottolinea la relazione tra regime, prosperità e capitale civico. A Bologna, ben governata dal papa re, non mancano la prosperità e la fiducia. Ma se il regime contribuisce a  determinare il capitale civico, è a sua volta da questo influenzato? Con ogni probabilità sì, soprattutto nelle democrazie contemporanee. In esse la domanda politica è importante almeno quanto l'offerta ed è orientata anche dal capitale civico. 


  


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