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lunedì 5 agosto 2013

America ed Europa senza fabbriche. Troppi resterebbero fuori.







Su La Stampa del 5 agosto 2013 Enrico Moretti delinea un quadro della produzione e dell'occupazione nell'età della globalizzazione tecnologica soltanto in parte condivisibile.

Scrive Moretti:

" In tutti i Paesi occidentali, l’occupazione nell’industria manifatturiera sta calando ormai da trent’anni...  questo trend accomuna un po’ tutte le società avanzate, dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Gran Bretagna all’Italia e persino la Germania".

"Questo declino non è solo l’effetto di fenomeni a breve termine, come le recessioni: l’industria perde posti di lavoro anche durante le fasi di espansione. Le ragioni sono due forze economiche profonde: progresso tecnologico e globalizzazione. Grazie agli investimenti in sofisticati macchinari di nuova concezione, le fabbriche occidentali sono molto più efficienti che in passato e per produrre la stessa quantità di beni impiegano sempre meno manodopera".

"La seconda forza che sta decimando l’occupazione manifatturiera dei paesi occidentali è la globalizzazione. Le produzioni più tradizionali sono state le prime a essere delocalizzate".

"A differenza della maggior parte dei Paesi Europei, e dell’Italia in particolare, negli ultimi cinquant’anni, gli Stati Uniti si sono reinventati, passando da un’economia fondata sulla produzione di beni materiali a un’economia basata su innovazione e conoscenza. L’occupazione nel settore dell’innovazione è cresciuta a ritmi travolgenti. L’ingrediente chiave di questo settore è il capitale umano, e dunque istruzione, creatività e inventiva. Il fattore produttivo essenziale sono insomma le persone: sono loro a sfornare nuove idee. Le due forze che hanno decimato le industrie manifatturiere tradizionali – la globalizzazione e il progresso tecnologico – stanno ora determinando l’espansione dei posti di lavoro nel campo dell’innovazione. 
La globalizzazione e il progresso tecnologico hanno trasformato molti beni materiali in prodotti a buon mercato, ma hanno anche innalzato il ritorno economico del capitale umano e dell’innovazione. Per la prima volta nella storia, il fattore economico più prezioso non è il capitale fisico, o qualche materia prima, ma la creatività".

"Nei prossimi decenni la competizione globale sarà incentrata sulla capacità di attrarre capitale umano e imprese innovative. Il numero e la forza degli hub dell’innovazione di un Paese ne decreteranno la fortuna o il declino. I luoghi in cui si fabbricano fisicamente le cose seguiteranno a perdere importanza, mentre le città popolate da lavoratori interconnessi e creativi diventeranno le nuove fabbriche del futuro".

In realtà nulla esclude che i luoghi della fabbricazione e della concezione innovativa  possano essere gli stessi e che l'offerta di ingegneri e di lavoro creativo a minor costo determini lo spostamento in Asia anche della fase di progettazione. Si tratta di un processo in larga misura prevedibile.
Del resto bisogna essere ben consapevoli che l'occupazione nel settore dell'innovazione non può per sua natura soddisfare adeguatamente la richiesta di inclusione economico-sociale. Quanti non possiedono le doti necessarie per un contributo significativamente creativo? Basterà il supporto di un efficiente sistema formativo/educativo, peraltro spesso ancora da realizzare?
Emerge in Europa e in America una tendenza a radunare ai due estremi le occasioni di impiego. Da una parte il lavoro ad alta o altissima qualificazione, dall'altra un'ampia offerta di occupazione poco qualificata e mal retribuita nei settori della grande distribuzione, della grande ristorazione, del servizio sanitario e dell'assistenza agli anziani. Quanti non potranno o non vorranno essere parte attiva di un mercato del lavoro siffatto?
L'espulsione dai paesi occidentali della manifattura ad alto valore aggiunto non pare inevitabile. Una profonda ristrutturazione della legislazione del lavoro e dell'impresa, del welfare, del fisco e del sistema educativo/formativo può rendere decisivi i legami con le tradizioni produttive e il territorio, il taglio dei costi di trasporto, la capacità di adattare elasticamente la produzione alle esigenze particolari del consumatore. Si consideri poi che le nuove economie  orientali non sono prive di tensioni e contraddizioni. Il futuro resta aperto. 


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