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sabato 26 ottobre 2013

Crisi. Prigionieri del presente.




Su Il Sole24ORE del 25 ottobre 2013 Alessandro Plateroti chiude il suo ampio esame della situazione con un rilievo meritevole di approfondimento:

"Ormai è chiaro a tutti che ci muoviamo in uno scenario in cui la globalizzazione impedisce misure unilaterali, ma interessi divergenti condannano alla paralisi. Il vecchio sistema di regole e certezze sta crollando, il nuovo nessuno lo intravvede o tenta di costruirlo perché tutto si intreccia con la crisi e la minaccia di un aggravamento finanziario o dell'economia reale. Tutti vivono alla giornata - operatori, governi, istituzioni soprannazionali - e hanno paura di progettare il futuro. Sembra che nel mondo si sia diffusa una nuova malattia che si credeva soltanto italiana: inseguire il presente rimanendone prigionieri. E allora si spiega quel che sta succedendo sui mercati".

Come un buco nero il presente attrae ogni risorsa materiale ed intellettuale. Ciò pare determinante e ineluttabile nell'Occidente democratico, con poche eccezioni. Perfino la retorica obamiana conferma l'assunto: apparentemente guarda al futuro, in realtà tende a perpetuare l'alleanza tra l'illusione ed il bisogno che ha consentito l'elezione del presidente USA.
Per quasi tutte le società occidentali è molto difficile spezzare le catene del presente. E' venuto meno il supporto della memoria generazionale e le principali agenzie educative hanno fallito. Alla diffusa inadeguatezza degli strumenti di analisi si accompagna quella di valori e tradizioni, che può rivelarsi fatale per la democrazia liberale. Montesquieu è spesso citato a sproposito sulla cosiddetta separazione dei poteri, mentre restano memorabili le sue osservazioni sui presupposti di una democrazia libera e vitale:

"E' nel governo repubblicano che si ha bisogno di tutta la potenza dell'educazione...la virtù politica è una rinuncia a sè, cosa che è sempre molto penosa. Si può definire questa virtù, l'amore delle leggi e della patria. Quest'amore, richiedendo una preferenza continua verso l'interesse pubblico in confronto al proprio, conferisce tutte le virtù particolari: esse non sono altro che tale preferenza. Quest'amore è particolarmente legato alle democrazie. Soltanto in esse il governo è affidato ad ogni cittadino" (MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Capitolo quinto).
Tale patrimonio morale dà lungimiranza ai governanti, chiamati a non pensare soltanto al consenso elettorale, ed agli elettori che li giudicano. Esso caratterizzava i più notevoli esponenti dell'Italia che seppe tenere il passo dell'Europa migliore, statisti come Cavour, Giolitti, De Gasperi ed Einaudi, ma anche uno dei più brillanti generali del Ventesimo secolo, Enrico Caviglia, che nel suo diario annotò la seguente riflessione:

"L'uomo politico deve tenere conto delle grandi correnti di interessi e di sentimenti e saper distinguere le correnti transitorie da quelle che additano ai popoli la via da seguire a scadenza di generazioni.
Deve conoscere la situazione morale, politica ed economica generale per valutare con tranquilla coscienza gli elementi e i fattori che interessano il suo popolo.
Se sarà invece assorbito completamente dalla situazione interna del proprio Paese e da interessi immediati che premono ad ogni piè sospinto, egli non guiderà il suo popolo, ma andrà con quello alla deriva" (Enrico CAVIGLIA, I dittatori, le guerre e il piccolo re - Diario 1925-1945 - A cura di Pier Paolo Cervone, pag.39).



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