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venerdì 22 novembre 2013

John F. Kennedy. L'assassinio, il complotto e lo stato profondo.




Su The National Interest del 21 novembre 2013   Andranik Migranyan propone un attento riesame della morte del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, a cinquanta anni dal suo assassinio.  Richiamando le tesi del giornalista del New York Times  Philip Shenon non esclude la responsabilità di Fidel Castro, mentre non ritiene plausibile la pista sovietica. Sottolinea soprattutto l'occultamento delle prove compiuto dalle agenzie di intelligence americane. Si tratta, in sostanza,  di una ricostruzione già autorevolmente divulgata.  Il professor Christopher Andrew, uno dei massimi storici dell'intelligence del Ventesimo secolo, l'ha così delineata:

"Proprio il giorno dell'assassinio di Kennedy, la CIA aveva fornito a un agente un'arma omicida da usare contro Castro".
"Anche J. Edgar Hoover si era tenuto per sé informazioni importanti.  Aveva scoperto con orrore che il nome di Oswald non era stato incluso nell'archivio dell'FBI sui cittadini potenzialmente sleali, nonostante egli avesse scritto una lettera minatoria dopo il suo ritorno dalla Russia e in seguito avesse fissato un appuntamento per incontrare un ufficiale del KGB a Città del Messico. Dopo aver letto una relazione sulle "lacune investigative nel caso Oswald", Hoover concluse che se la relazione fosse stata resa pubblica avrebbe distrutto la reputazione dell'FBI". (Christopher ANDREW con Vasilij MITROKHIN, L'Archivio Mitrokhin, 1999, p. 293).

Come ben rileva Migranyan, anche durante la presidenza Kennedy esisteva un "deep state", una formazione non visibile e non responsabile costituita da agenzie governative o parti di esse. Si tratta di una presenza che non deve sorprendere. Una deriva siffatta è in qualche misura connaturale ad organizzazioni chiamate ad operare nel segreto o comunque  con riservatezza. E' però indispensabile ricondurle nell'alveo dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche.
Gli ordinamenti liberaldemocratici occidentali tradizionalmente a tal fine apprestano commissioni parlamentari di controllo e attribuiscono compiti di direzione ai governi gravati della responsabilità politica. Ma occorre un approccio equilibrato e realista. L'intelligence è uno strumento a cui anche le democrazie non possono rinunciare. Resterebbero altrimenti disarmate di fronte a nemici implacabili. La ricetta è sempre la stessa: buone istituzioni, buoni difensori. Gli strumenti istituzionali di controllo devono essere migliorati e resi più efficaci. I compiti più delicati devono essere affidati a uomini e donne capaci, che conservino amore per il loro paese e per la libertà.


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