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venerdì 28 febbraio 2014

Burocrazia buona e cattiva.

 


Giovanni Giolitti prima di assumere responsabilità di governo fu sostituto procuratore del Re  e poi resse la direzione delle Finanze, con lo stesso Depretis titolare del dicastero.
Ha scritto Giolitti nelle sue Memorie:

"Depretis aveva seco, quale Segretario generale, (che corrispondeva allora a quello che fu poi il Sottosegretario di Stato dei vari ministeri...), il deputato Sesmit Doda, che gli era stato imposto dagli elementi estremi del partito. Il Sesmit Doda era un brav'uomo, ma alquanto fantasioso, "furioso" come lo chiamava Depretis; non aveva pratica di amministrazione  e aveva chiamati al suo Gabinetto impiegati poco competenti; e mi mandava continuamente degli ordini cervellotici in contrasto con la legge, che io dovevo respingere, spiegando la ragione per cui non si potevano eseguire. Il Sesmit Doda se la prese e anzi s'insospettì, ed un giorno che eravamo assieme presso Depretis, egli accennò che nel dicastero "si congiurava". Io capii l'allusione, e gli risposi che se avessi voluto cospirare avrei avuto un mezzo semplicissimo, del quale egli mi sarebbe stato grato. Depretis, che era beffardo di temperamento, e se ne aspettava una divertente, m'incoraggiò: "Dica, dica." Allora io dissi: "Se io volessi congiurare contro il Ministero, mi basterebbe eseguire gli ordini che Ella mi dà... " Depretis scoppiò  in una risata, e Sesmit Doda, furioso, prese il cappello e se ne andò" (Giovanni GIOLITTI, Memorie della mia vita, 1922, p. 23 e seg.).

Il futuro grande statista liberale come alto dirigente della Pubblica amministrazione incarna così il burocrate competente e coraggioso, che richiama i politici alla realtà dei fatti e delle norme.

Gli italiani sono vittime di una burocrazia perversa e soffocante, ma della burocrazia una grande società non può fare a meno.  Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 26 febbraio 2014 ha trattato con lucidità questo tema impopolare:

"Solo un micidiale semplificatore come Lenin o forse un addicted al blog di Beppe Grillo possono pensare che per amministrare uno Stato possa bastare l’esperienza di una cuoca (anche se alla cuoca il primo era pronto ad affiancare il plotone d’esecuzione, mentre il secondo forse è disposto, più mitemente, ad accontentarsi di Internet).
Il problema dunque non è burocrazia sì o no. Nel caso dell’Italia il problema è innanzitutto un problema di formazione e di reclutamento".

"Le burocrazie che danno buona prova di sé sono dappertutto quelle reclutate su base rigidamente meritocratica: cioè attraverso corsi di studi seri ed esami severi... Da noi, infatti, non solo a cominciare dal curriculum scolastico e universitario il criterio del merito è virtualmente scomparso, ma veri esami d’ingresso degni di questo nome si fanno ormai esclusivamente in pochissime amministrazioni..."

"In questo vuoto di meritocrazia il fattore decisivo da cui sempre più dipendono ingresso e carriera nell’alta burocrazia è diventato il mix formato da origine sociale, relazioni familiari e politica. Si tratta di un mix micidiale. Per due ragioni. Da un lato perché di fatto così si sancisce l’esclusione dall’élite del Paese di coloro che provengono dalle classi  meno abbienti e comunque meno favorite...La seconda ragione sta nel fatto che con una burocrazia la quale, essendo di scarsa qualità e potendo vantare pochi meriti propri, dipende dalla politica per il proprio reclutamento, per la sua ascesa ai vertici... va ovviamente a farsi benedire la necessaria distinzione tra politica e amministrazione. La seconda, che deve tutto alla prima, non avrà mai il coraggio di prenderla di petto e di opporsi con forza alle sue ragioni in nome dell’interesse generale - come invece sarebbe necessario".

Oggi molti politici accusano gli alti burocrati di impedire o rallentare l'attuazione delle riforme. Se ciò accade, come spesso accade, per  difendere interessi corporativi o per  avvantaggiare referenti politici, il biasimo deve essere severo. Ma se ciò avviene nel tentativo di frenare governanti e legislatori "fantasiosi",  "furiosi" e "poco competenti", allora  sembra opportuno riproporre la devastante risposta di Giolitti:

"Se io volessi congiurare contro il Ministero, mi basterebbe eseguire gli ordini che Ella mi dà... ".

venerdì 21 febbraio 2014

L'Ucraina che nessuno può volere.




L'Ucraina brucia. Lo scontro tra l'opposizione, in cui radicali e violenti acquistano un peso sempre maggiore, e il governo filorusso rischia di diventare aperta guerra civile. Questa situazione è evidentemente l'esito non solo di dinamiche interne, ma anche delle relazioni tra Russia e USA, segnate da una rilevante conflittualità.
Yanukovich è non soltanto odiato dai suoi oppositori, ma ormai criticato dai suoi referenti russi e condannato dalla Chiesa Ortodossa Ucraina (Patriarcato di Kyiv), una delle tre maggiori giurisdizioni ortodosse del paese. Su La Voce della Russia del 21 febbrao 2014 Andrey Fediašin scrive:

"Come riferisce il Servizio stampa del Presidente Yanukovich, a Kiev è stato raggiunto un accordo per la soluzione della crisi. Per l’Unione Europea ai negoziati hanno partecipato i titolari dei Ministeri degli Esteri della Germania e della Polonia Frank-Walter Steinmeier e Radosław Sikorski, il portavoce del Presidente russo, ombudsmen Vladimir Lukin, il Presidente Viktor Yanukovich e tre leader dell’opposizione – Arseny Jatsenuk, Oleg Tiagnibok e Vitaly Klichko
Ma ciò non significa affatto che l’Ucraina ha cominciato ad uscire a poco a poco dalla crisi.
La Russia per la prima volta dall’inizio della crisi ucraina nell’anno scorso ha espresso con toni assai rigorosi il suo atteggiamento verso ciò che sta avvenendo e verso l’incapacità funzionale difficilmente spiegabile di Kiev. Il primo ministro Dmitry Medvedev alla seduta del Consiglio dei Ministri del 20 febbraio ha detto, in particolare:
Noi, sicuramente, porteremo avanti il processo di cooperazione con i partner ucraini in tutte le direzioni concordate. Al tempo stesso a questo scopo è necessario che il potere in Ucraina sia legittimo ed efficace.
Fin qui Mosca non mai osato fare una critica così dura al governo di Yanukovich".

Mentre Marco Tosatti su La Stampa del 21 febbraio 2014 dà conto della condanna espressa dalla Chiesa Ortodossa Ucraina (Patriarcato di Kyiv):

"La Chiesa Ortodossa Ucraina ha deciso di non pregare più, nelle celebrazioni religiose, per i responsabili del governo di Kiev. “Prendendo atto del fatto che i ripetuti appelli della Chiesa a non usare le armi contro il popolo non sono stati ascoltati dalle autorità dello Stato; contro il popolo che le ha elette per servire il popolo e l’Ucraina, non per la violenza e l’omicidio, si è deciso di non pregare più per le autorità al potere durante le celebrazioni religiose”, afferma un comunicato firmato dal Patriarca Filarete. Inoltre il Patriarca e i vescovi chiedono alle autorità di smettere immediatamente di usare le armi contro la gente. E la Chiesa, a dispetto delle Scritture e della Costituzione dell’Ucraina, che parlano della necessità di pregare per i governanti, pregherà solo per l’Ucraina, il popolo ucraino, i morti e feriti negli episodi di violenza. 
Nel frattempo è partita un’iniziativa che chiede che Viktor Yanukovich sia scomunicato e colpito con anatema. La richiesta è rivolta al Sinodo della Chiesa Ortodossa Ucraina legata al Patriarcato di Mosca. L’iniziativa è partita da una nota scrittrice laica e religiosa, Tetyana Derkatch, che l’ha lanciata su Facebook e alti canali sociali, ed è ospitata dal RISU (Religious Information Service of Ukraine)".

Nessuna delle potenze coinvolte, Russia, USA e Unione Europea, trae realmente vantaggio da un'Ucraina in preda alla guerra civile. Devono migliorare le relazioni tra USA e Russia. Sono tanto importanti e numerosi i comuni interessi da rendere addirittura difficile da comprendere una contrapposizione così estesa e dura.
 Il muro ideologico è caduto ormai da tempo.  E' auspicabile che entrambi i governi collaborino per estendere il dominio dello stato di diritto, rafforzare la tutela della dignità umana, combattere la povertà, attenuare le pulsioni etniche e nazionaliste, sconfiggere il terrorismo fondamentalista e risolvere le crisi internazionali.

venerdì 14 febbraio 2014

Galileo Galilei. Cattolicesimo e scienza.




 Galileo Galilei, morto nel 1642, è da molti considerato il padre della scienza moderna. In realtà, fervente cattolico con due figlie suore e nonostante i contrasti sfociati nella condanna pronunciata dal Sant'Uffizio, diede ancor maggiore contributo alla definizione dei rapporti tra fede cristiana e studio della natura e alla affermazione di un corretto approccio interpretativo alla Bibbia.
Di  seguito le considerazioni di Stephen Jay Gould e  Imre Lakatos, che di Galilei sottolineano anche gli errori e il rudimentale, ingenuo empirismo.

"Galileo puntò il telescopio anche su Saturno, il più lontano dei pianeti noti a quel tempo, e vide i famosi anelli. Non riuscì però a visualizzare o interpretare in modo corretto ciò che aveva osservato, presumibilmente perchè nel suo mondo concettuale non c'era "spazio" per un oggetto così peculiare (e il telescopio era troppo rozzo per raffigurare gli anelli in modo abbastanza chiaro da costringere la sua mente, già confusa da tante sorprese, alla conclusione più peculiare e imprevista di tutte)".

"Galileo...interpretò Saturno come un corpo triplice, formato da una sfera centrale affiancata da due sfere minori a contatto con essa".

"Galileo non annuncia la sua soluzione per mezzo di espressioni come "congetturo", "ipotizzo", "inferisco" o "mi pare che sia l'interpretazione migliore...". Egli scrive invece audacemente "ho osservato" (Stephen Jay GOULD, Le pietre false di Marrakech, 2007, pag. 45 e segg.).

"Il falsificazionista sofisticato non si schiera nè con Galileo nè col cardinal Bellarmino. Non si schiera con Galileo, perchè sostiene che le nostre teorie di base possono essere tutte altrettanto assurde e inverisimili per la mente divina; e non si  schiera con Bellarmino, a meno che il cardinale non concordi sul fatto che le teorie scientifiche, a tempi lunghi, possano prima o poi portare a conseguenze vere sempre più numerose e a conseguenze false sempre meno numerose e che, in questo senso strettamente tecnico, possano aver "verisimilitudine" crescente" (Imre LAKATOS, La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici, in Imre LAKATOS e Alan MUSGRAVE (a cura di), Critica e crescita della conoscenza, 1993, p. 266 e seg.).

Galilei fu costretto all'abiura dal Sant'Uffizio, posto agli arresti domiciliari in residenze  signorili e infine confinato nella sua villa di Arcetri.  Ma la condanna venne dopo un  processo preceduto da lunghe discussioni e dall'elaborazione di argomenti difensivi che si sono rivelati fondamentali per l'emersione della piena compatibilità tra scienza e fede cristiana.


Scrive Galilei in una lettera a Benedetto Castelli:

"Io crederei che l'autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario il crederlo".

E in una lettera a Cristina di Lorena granduchessa di Toscana:

"...l’intenzione delle Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo".

"Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne séguita, che qualunque volta alcuno, nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del vulgo assai rozzo e indisciplinato, così per quelli che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori ne produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che e’ siano sotto cotali parole profferiti: ed è questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne attestazione alcuna".

Tale compatibilità tra scienza e fede cristiana è oggi proclamata con lucida consapevolezza dai pastori della Chiesa. Esemplare in questo senso  il Messaggio di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze:

"Da parte mia, nel ricevere il 31 ottobre 1992 i partecipanti all’Assemblea plenaria della vostra Accademia, ho avuto l’occasione, a proposito di Galileo, di richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’interpretazione corretta della parola ispirata, di una ermeneutica rigorosa. Occorre definire bene il senso proprio della Scrittura, scartando le interpretazioni indotte che le fanno dire ciò che non è nelle sue intenzioni dire. Per delimitare bene il campo del loro oggetto di studio, l’esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura"

" Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate".

"Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria".




venerdì 7 febbraio 2014

Crisi. In difesa dell' euro.




Davide Colombo su Il Sole 24 ORE del 5 febbraio 2014 espone alcune delle principali ragioni che inducono a respingere il passaggio dall' euro a una moneta nazionale italiana destinata a svalutarsi.
Scrive Colombo:

"Qualche mese fa a mettere in fila almeno quattro fattori che hanno definitivamente affossato l'equazione uscita dall'euro = svalutazione = rilancio di export e Pil è stato il centro studi di Confindustria".

"Primo: la diffusione delle filiere globali riducono i vantaggi competitivi di una svalutazione. Non si vive più in un mondo in cui le imprese delle economie avanzate producono interamente in casa i loro beni e servizi importando solo materie prime. Ora si produce importando anche i semi-lavorati che servono a produrre i beni finali da esportare...la svalutazione del cambio renderebbe queste importazioni assai più costose annullando l'eventuale guadagno di competitività".

"Secondo: i sistemi bancari in crisi renderebbero difficile ottenere nuovo credito".

"Terzo: la più lenta risposta dell'export in un contesto concorrenziale nel quale i paesi più avanzati possono giocare sulla qualità dei loro beni e servizi piuttosto che sul prezzo. La spiegazione è semplice: serve tempo (e nuovi investimenti) per sostituire i semi-lavorati importati con produzioni proprie e mentre questa "sostituzione" si determina la concorrenza degli altri paesi avanza con la qualità (a parità di prezzo) dei loro prodotti".

"Quarto: se tutti svalutano nessuno ci guadagna...Nel caso dei paesi deboli dell'eurozona la svalutazione sarebbe contemporanea e a guadagnarci di più sarebbero quelli con le maggiori quote di export destinate all'area euro, quindi l'Italia vedrebbe diluiti di molto gli eventuali vantaggi".

"C'è un ultimo argomento proposto dagli analisti del Centro studi di Confindustria: per esportare di più (dopo aver svalutato) occorre poter contare su un'ampia base industriale capace di produrre beni commerciabili internazionalmente".

L' articolo di Colombo richiama l' attenzione su alcuni aspetti fondamentali della questione, che sorprendentemente sono spesso trascurati nel dibattito pubblico. A partire dall' ovvia considerazione che una valuta serve non solo per vendere, ma anche per comprare. L' Italia è un paese trasformatore, povero di materie prime e fonti energetiche. Una eventuale svalutazione determinerebbe un rilevante aumento dei costi di materie prime, energia e semilavorati.
E' poi perfino banalmente vero che prodotti e servizi sono competitivi non solo per il loro prezzo, ma anche e soprattutto per la loro qualità e che la svalutazione può non compensare la presenza di importanti fattori che diminuiscono la competitività.
Va inoltre sottolineato che difficilmente la risposta produttiva allo stimolo rappresentato dalla svalutazione sarebbe adeguata. Basti pensare, per quanto riguarda i semilavorati, agli ostacoli frapposti dalle istanze di tutela ambientale (chimica di base, siderurgia, monocolture intensive).
Le insufficienti prestazioni del sistema scolastico, la scarsa capitalizzazione e la modesta dimensione delle imprese, la disciplina del lavoro e l' assetto delle relazioni industriali sono altre ragioni che anche in presenza di una svalutazione impedirebbero una efficace reazione del sistema produttivo.
In questa corretta prospettiva la proposta di uscire dall' eurozona appare assolutamente da rigettare. A tal punto questa misura si rivela dannosa da essere segno distintivo fondamentale. Chi la prospetta non riceva il consenso di chi desidera per il paese un genuino sviluppo economico e civile.


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