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venerdì 12 settembre 2014

Crisi. Una risposta liberale.




Su Il Foglio dell'11 settembre 2014 Alberto Mingardi e Natale D'Amico hanno scritto:

"Per fare spesa in deficit, uno stato deve trovare chi compri i suoi bond. E gli investitori, prima o poi, si pongono la domanda drammatica: lo stato che sto finanziando sarà in grado di onorare i suoi debiti? Nel 2011 non è stato il fantasma di Hayek a imporre all'Italia l'aggiustamento di finanza pubblica. Sono stati piuttosto i nostri creditori, che hanno preteso un tasso d'interesse velocemente crescente (l'estate dello spread) per continuare a finanziare la nostra spesa pubblica. Neanche i pasti keynesiani sono gratis". 

"...all'interno di un'area monetaria unica il funzionamento dei meccanismi di aggiustamento è simile a quello presente in un sistema di gold standard. Se un paese "perde competitività", perde moneta; o riporta la crescita della propria produttività verso quella dei paesi concorrenti, ovvero è costretto ad abbassare i propri costi, a partire dai salari".

"Non stupisce che anche personalità lontanissime dal "liberismo austriaco", e fra loro il pragmatico Mario Draghi, auspichino "riforme strutturali": riforme microeconomiche, dal lato dell'offerta, volte a perseguire una migliore allocazione dei fattori produttivi, pena una dolorosa compressione dei salari reali".

"Ma non serve che un po' di realismo per convincersi che non ne verremo fuori se non cambiando il nostro welfare, facendo funzionare la giustizia, la scuola, etc. Nostra opinione è che questi cambiamenti non ci saranno, o comunque non saranno efficaci, se non ridurremo il ruolo dello stato. Ma questa è per l'appunto la nostra visione ideologica, temiamo nient'affatto maggioritaria".

Seppure minoritaria, si delinea in Italia una risposta liberale alla crisi. E' ispirata dalla consapevolezza della globalizzazione, dei suoi effetti, della necessità di riforme microeconomiche dal lato dell'offerta, dell'urgenza di dare al welfare e agli enti territoriali un assetto produttivistico imperniato sulla disciplina pubblica di strumenti privati.
Non deve sorprendere la refrattarietà di larghi settori dell'imprenditoria confindustriale a questa visione. Una parte significativa di tale imprenditoria è cresciuta grazie a relazioni clientelari, chiedendo allo stato di compensare con svalutazioni e spesa pubblica le insufficienti capitalizzazione e produttività. Questo è il contesto che spiega il mancato sostegno alla cultura liberale, l'inclinazione al compromesso con movimenti e partiti illiberali, l'accettazione di relazioni industriali inidonee a sciogliere i nodi della produttività e della competitività.
Il sistema non ha bisogno delle ormai mitiche iniezioni di liquidità, ma di più verità, di più coraggio nel fronteggiare una crisi innescata dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologico-digitale. Dalla tradizione liberale le risorse per spiegare e cambiare.


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