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giovedì 1 giugno 2017

Il cattolicesimo di Luigi Einaudi.







Molti pensano che il liberalismo italiano, movimento politico e patrimonio ideale, non sia davvero altro che quello cresciuto sotto l'influenza della visione anticattolica cavurriana. Così non è. Tra i suoi maggiori esponenti troviamo due eminenti statisti di fede cattolica, non ostentata, non strumentale, ma sincera e profonda: Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi.
Giolitti partecipò alle discussioni che sfociarono nella fondazione del Partito Liberale Italiano a Bologna l'8 ottobre 1922. Mentre nel 1943 la ricostituzione del Partito Liberale avvenne con il contributo determinante di Luigi Einaudi.
Giolitti, che non aderì alla Massoneria, non abbandonò la tradizione religiosa dei propri padri e per tutta la vita visse una fede non esibita ma non rinnegata, attuando una politica ecclesiastica nel contempo rigorosamente rispettosa della libertà religiosa di tutti e non ostile alla Chiesa cattolica.
Pure la fede cattolica di Einaudi è poco nota, ma ebbe un ruolo importante nella sua vita e nel suo pensiero. Roberto Pertici, su L'Occidentale del 10 agosto 2008, presentando uno scritto troppo a lungo dimenticato  del secondo presidente della Repubblica italianaaffronta "il problema del sentimento religioso dell’uomo Einaudi, se e come si armonizzasse col suo liberalismo". La questione dei rapporti tra cattolicesimo, modernità e società aperta è stata spesso sollevata. Dallo scritto di Einaudi emerge una risposta inaspettata ma profondamente rispettosa del cuore del cattolicesimo e solidamente radicata nel miglior pensiero liberale.
Scrive Pertici: "Si tratta di un testo del 1945, quando era già governatore della Banca d’Italia: tre pagine di Introduzione a un libro di mons. Pietro BarbieriL’ora presente alla luce del Vangelo, Roma, Cosmopolita, pp. V-VII.   Durante l’occupazione tedesca di Roma mons. Barbieri  si era dato molto da fare nell’aiuto e nell’ospitalità a non pochi esponenti dell’antifascismo. A liberazione avvenuta, aveva fondato la rivista «Idea» a cui anche Einaudi saltuariamente collaborò  e – tra il 1944 e il 1945 – aveva tenuto ogni domenica una trasmissione radiofonica durante la quale  leggeva e commentava il vangelo del giorno: in quel libro erano raccolte, appunto, queste conversazioni domenicali".
In queste pagine, come citate da Pertici, Einaudi espone la propria visione del cattolicesimo:

"Ma la comunità dei credenti non è composta dei soli uomini viventi oggi. Essa vive nelle generazioni che si sono succedute da Cristo in poi. Ognuna di quelle generazioni ha trasmesso quella parola alle generazioni successive; ed ogni generazione ha sentito quella parola e vi ha creduto perché essa era stata sentita e in essa avevano creduto i suoi avi. La parola di Cristo è viva in noi non perché essa sia stata scritta sulle pergamene e nei libri stampati. Sarebbe cosa morta se così fosse. Ma ognuno di noi l'ha sentita dalle labbra della mamma e della nonna. Mettiamoli in fila questi uomini e queste donne che in ogni famiglia hanno trasmesso oralmente gli uni agli altri i comanda­menti divini; amatevi gli uni gli altri, non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a te stesso. Non sono molti: da venti a trenta persone bastano a ricondurre la tradizione trasmessa ad ognuno di noi da un antenato il quale viveva al tempo del Messia.
Ogni uomo ed ogni donna vissuto dopo quel giorno ha fatto parte e fa ancora parte della comunione di coloro i quali hanno creduto e credono nel messaggio di bontà di Gesù; ognuno di essi ha interpretato ed ha sentito quel messaggio attraverso ai suoi bisogni, ai suoi dolori, alle sue aspirazioni. I canti, i cori e le parole in lingua latina che noi ascoltiamo o leggiamo o pro­nunciamo in chiesa non sono nostre. Esse sono il retaggio di sessanta genera­zioni che ci hanno preceduto; ed il toccarle sarebbe un rompere quella conti­nuità di comunione spirituale che lega i viventi a coloro che sono morti e che sono vissuti, errando e ravvedendosi, nella medesima comunità di uomini vissuti dopo che la parola di Cristo ha trasformato il mondo.
Se mutare le parole dei riti religiosi sarebbe un sacrilegio, fare intendere quelle parole è un dovere. La spiegazione delle parole scritte nei vangeli, la esposizione, anzi, del significato di ognuno dei riti e dei canti che si leggono nei breviari è il primo dovere del sacerdote; è un dovere interpretato dai sacerdoti nel modo più diverso. Confesso di apprezzare scarsamente la maniera dotta e quella polemica. L’uomo semplice e la donna umile, i quali sentono la bel­lezza delle parole latine dei canti imparati a memoria, anche se ripetuti con qualche errore di grammatica, non comprendono le dispute dottrinali e non si interessano alle polemiche contro i miscredenti siano essi protestanti o liberi pensatori o materialisti. L'uomo semplice e la donna umile chiedono al sacerdote: dimmi come dobbiamo vivere ogni giorno, come dobbiamo inter­pretare alla luce del Vangelo gli avvenimenti quotidiani, quale è la legge mo­rale alla quale dobbiamo conformarci, quali, fra i comandi ricevuti dai potenti della terra, da coloro che oggi imperano su di noi e sui nostri fratelli viventi nelle più diverse parti del mondo, siano quelli ai quali dobbiamo ubbidire".

C'è nelle parole di Einaudi una esatta consapevolezza del ruolo della tradizione cattolica e del nucleo cristologico di tale fede. Ma ci sono anche una genuina adesione alla semplicità evangelica e una intuizione della portata civile del cristianesimo che trova nel Tocqueville della Democrazia in America una più ampia e compiuta espressione. Fu infatti il grande francese, nell'opera citata, ad affermare:

 "Per parte mia non credo che l'uomo possa mai sopportare insieme una completa indipendenza religiosa e un'intera libertà politica e sono portato a pensare che, se egli non ha fede, bisogna che serva e, se è libero, che creda".

"Ho fatto vedere come nei tempi di civiltà e di eguaglianza lo spirito umano non accetti volentieri credenze dogmatiche e ne senta il bisogno solo in fatto di religione. Ciò indica anzitutto che in questi secoli le religioni devono mantenersi più discretamente nei loro limiti senza cercare di uscirne poichè volendo estendere il loro potere fuori del campo strettamente religioso, rischiano di non essere credute in alcun campo. Esse debbono, dunque, tracciare con cura il circolo in cui pretendono fermare lo spirito umano e lasciarlo interamente libero di sè fuori di esso".

"....nel Corano non solo dottrine religiose, ma anche massime politiche, leggi civili e criminali e teorie scientifiche. Il Vangelo, invece, parla solo dei rapporti generali degli uomini con Dio e fra loro. Al di fuori di questo non insegna nulla e non obbliga a credere nulla. Questo soltanto, fra mille altre ragioni, basta a mostrare che la prima di quelle due religioni non può dominare a lungo in tempi di civiltà e di democrazia, mentre la seconda è destinata a regnare anche in quei secoli come in tutti gli altri".

Tradizione cattolica e liberale si incontrano e si riconoscono distinte e complementari. Al cristianesimo, per recuperare la sua storica relazione con la libertà civile, basta essere veramente se stesso, conservando e se necessario ripristinando il ruolo centrale di Fede, Rivelazione e Tradizione. Bisogna evitare di costringerlo nelle pastoie di un razionalismo astratto ed acritico, di introdurre a forza nel suo patrimonio dogmatico filosofie soltanto umane, di trarne dottrine sociali elaborate con le migliori intenzioni ma destinate a restare vitali solo nel nucleo che recepisce direttamente la morale rivelata.

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